Cristian Morandi, professione barman
Cristian Morandi è un professionista a 360 gradi nel mondo del bartending e riesce esattamente a spiegare ogni lato della professione del barman con estrema precisione, conoscendone ogni aspetto. Parliamo con Cristian attraverso molti aspetti della splendida ed affascinante professione del barman, tanto che completiamo l’interessante chiacchierata nel giro di tre mesi, tra maggio e luglio del 2015.
Il barman e il bar secondo Cristian
Non facciamo in tempo ad approcciare l’intervista che ci troviamo coinvolti sin da subito in una interessantissima discussione generale su questo vasto ed affascinante mondo:
“Dietro al bartending c’è un mondo. Oggi purtroppo ci dobbiamo scontrare con delle realtà in cui l’apoteosi del buon bere, senza nulla togliere al drink ed ai prodotti utilizzati, sia lo spritz. Su dieci persone otto ti chiedono lo spritz, e spesso per un fattore esclusivamente legato alla moda del momento, in alcuni casi senza sapere ciò che stiano bevendo. Porto rispetto allo spritz ed all’idea che c’è alla spalle ma non ci si può limitare a quello, c’è un universo dietro!
Noi barman, se vogliamo svolgere bene questo lavoro, abbiamo il dovere di metterci in gioco. Come? Facendo capire che dietro al lavoro c’è una profonda passione e che si può bere anche dell’altro. La gente non si spinge oltre perché si spaventa.
Ti porto un esempio che mi è capitato giusto ieri sera. Io con il cliente ci gioco, nel senso più benevolo possibile, e cioè che tendo a portarlo ad avere una maggiore consapevolezza. Questo ragazzo mi chiede di consigliargli un drink ed io gli domando quali siano i suoi gusti, per potermi meglio orientare. Mi dice solo che odia il gusto del tequila mentre il resto va bene.
Io per stuzzicarlo gli preparo un drink con il tequila (ovviamente) e lui si complimenta con me, non conoscendo la ricetta e quindi gli ingredienti. Quando gli svelo la presenza del tequila non vuole credermi ed io gli confido che l’importanza è in che modo sia presente il distillato e quale tipo di tequila venga utilizzato. E’ logico con un tequila liscio acquistato al discount possa essere ostico al palato! Questo per dirti che mettendoti in gioco con le persone rischi, ma rischi anche di fare bella figura rendendo il cliente soddisfatto e soprattutto più istruito.
Se fai un Margarita con buoni prodotti il cliente lo riconosce, percepisce che non è lo stesso Margarita che ha bevuto la sera precedente. Poi ci sono anche i tuttologi, come in ogni campo, che pretendono di insegnare, ma a quel punto non c’è spazio neanche per il dialogo.
Ti confido però che, grazie ai mass media, la nostra professione sta diventando di moda, come lo chef, che fino a pochi anni fa era considerato lavoro di fatica. Puoi trovare della maggiore conoscenza ma anche i cosi detti “minchiologist”, e cioè quei personaggi agghindati eccentricamente che, dopo avere letto due articoli, credono di sapere tutto.
In realtà c’è un profondo studio alle spalle e non solo gavetta. Ho lavorato in un locale di nicchia in cui mi hanno affiancato un giovane aspirante barman appena uscito dalla scuola alberghiera. Per settimane gli ho fatto asciugare i bicchieri ed un giorno si lamenta perché la sua aspirazione è diventare barman, ed asciugando stoviglie non impara nulla.
In realtà, gli dico, stai proprio imparando come si deve e cioè dall’inizio, perché la prima cosa importante, prima di iniziare a preparare un drink, è che il bicchiere sia asciutto! E poi devi studiare, il bartending si studia tutti i giorni. Sono diciotto anni che faccio il barman e tutt’oggi acquisto dei libri, mi informo, mi aggiorno: sono diciotto anni che studio.
La formazione
E’ per questo che la formazione è fondamentale ma non è l’unica conoscenza necessaria. L’ home made è una preziosa risorsa sia per barman che per il cliente perché fa in modo che si risalti la qualità artigianale, ma deve essere praticato con conoscenza e cognizione di causa.
Chi fa dell’home made un punto di forza lo fa con criterio. Diffidate da chi “spaccia” i propri prodotti per genuini perché c’è il rischio che siano l’esatto contrario. A questo punto è meglio prender il prodotto già confezionato, perché il cliente va tutelato, devi essere sicuro di cosa tu stia servendo alla tua clientela”.
Come hai iniziato e perché ti sei avvicinato al mondo del bartending?
Ho iniziato principalmente per passione oramai diciotto anni fa. Vengo da un settore completamente differente, ero agente di commercio e in un periodo particolare della mia vita una amica mi chiese se avessi voluto fare alcune serate in un rock cafè, che ai tempi era una tipologia di locale molto in voga. Il locale aveva una capienza di mille persone per cui la mole di lavoro era notevole (parliamo del Land of Freedom di Legnano, successivamente Land of Live ed ultimamente ritornato Land Of Freedom).
In realtà la passione arriva da molto prima, perché fin da bambino ero affascinato dal bancone del bar e dalle bottiglie, soprattutto dalla collezione di mignon che possedeva mio padre.
Ho iniziato lavorando ai tavoli mentre dietro al banco tutti i barman erano professionisti provenienti dalla scuola Aibes. Lo staff era davvero efficiente e si lavorava in un clima di grande armonia. Su tutti spiccava Carmine Lamorte, fiduciario Aibes (ora ex-fiduciario), un ottimo trascinatore.
Queste figure mi hanno spinto a cercare di conoscere sempre di più questo mondo, quantunque fossi limitato dal mio primo lavoro. Così mi sono buttato ed ho iniziato a frequentare i primi corsi di barman, pur mantenendolo come secondo lavoro.
Acquisendo esperienza la passione aumentava, così ho deciso di farlo diventare la mia professione. Ho cercato di aumentare il mio bagaglio frequentando altri corsi di livello superiore, dal flair all’american bar puro, presso la 3F di Milano.
Successivamente ho avuto la fortuna di gestire un locale che copriva sia diurno che serale, seguendo la parte dall’aperitivo sino alla chiusura. Ho fatto poi una bella esperienza come barman in un hotel cinque stelle lusso, a contatto con una clientela prevalentemente straniera, tra meeting, riunioni e congressi.
La mia voglia di conoscere sempre di più mi ha spinto a lavorare anche nella ristorazione, con la possibilità di interagire con la cucina. Credo sia una dote fondamentale per un buon barman: ti da la possibilità di legare un aperitivo ad un piatto e di organizzare serate a tema.
Ho anche lavorato come barman stagionale in Sardegna, tra locali affollati e club frequentati da vip, il che ti dona una visione ancora più ampia di ciò che sia la professione del barman.
Quando ho conosciuto Paulo Ramos ho frequentato il suo corso di miscelazione avanzata, capendo l’importanza del rapporto tra cocktail e prodotto utilizzato, la gestione delle materie prime e alcune tecniche che ai tempi erano innovative.
Nel 2004 ho aperto, con due soci, un cocktail bar e rhumeria, lo Jacarè, che tuttora lavora benissimo. Nel frattempo ho avuto due figlie quindi, per esigenze familiari, ho preferito proseguire con altri ritmi, pur continuando a fare il barman e a studiare, aggiornandomi e continuando a crescere.
Il lavoro in Svizzera
Successivamente ho provato una esperienza fondamentale e cioè lavorare in Svizzera. Per poter svolgere la professione ho seguito un corso, denominata scuola di gerenza, che è una istituzione molto strutturata e approfondita che dura sei mesi e che tratta tutte le materie possibili e immaginabili che possano servire a chi debba aprire o gestire un locale. Si studia la parte legislativa, il rapporto con i dipendenti, i rapporti con il comune.
Il gerente in Svizzera è una figura obbligatoria per chiunque voglia aprire un locale ed è colui che ha la responsabilità. In Svizzera ho iniziato quindi a fare il mio lavoro, scoprendo un mondo differente, con i suoi pro ed i sui contro.
La gestione è molto più semplificata rispetto a quella italiana e il fattore economico è più gratificante, mentre la conoscenza della mixologist è più arretrata. E’ più complicato portare novità alla clientela. Finchè si tratta di proporre classici, come Negroni o Gin Tonic, non ci sono problemi, mentre quando si propone un Morning Margarita o altro la questione si fa più complicata.
Il bar in Italia
Come ritieni il livello del bartending italiano?
Secondo me siamo bravi, il barman italiano rimane comunque un professionista richiesto a livello internazionale. Il livello si è alzato e continua ad aumentare, e dobbiamo rendere merito a quei barman che negli anni passati hanno divulgato la professione.
Ritengo però che un giovane barman, una volta uscito dal corso o dalla scuola, non si debba sentire già finito, a livello professionale. Credo che si debbano asciugare molti bicchieri prima di sentirsi dei veri barman perché la gavetta è un passaggio fondamentale.
Inoltre ci sono alcune scuole che insegnano delle assurdità, come miscelazioni troppo estreme. In questo caso si è persa quella semplicità che una volta era più spiccata. Non dobbiamo mai dimenticare che l’attenzione non è dovuta al barman, ma è il barman stesso che deve dare attenzione alla propria clientela.
Ci sono molti barman bravi, però su due professionisti ne trovi otto che parlano “per sentito dire”. Ma il cliente se ne accorge e prima o poi passa al barman bravo. Piace anche me, ogni tanto, andare a bere qualcosa e farmi “coccolare” dal barman, e capita che trovi quello che prima di servire da bere mi racconta tutta la sua vita. La gestione del cliente va insegnata a scuola, e prima di servire qualcosa di particolare si dovrebbe conoscere il cliente ed i prodotti che concorrono nella miscelazione. Ci vogliono degli anni per diventare un buon barman.
Come vedi il futuro del bartending?
Il futuro è legato principalmente alla volontà dei bartender e alle aziende che distribuiscono i prodotti. Se un ragazzo appena uscito da una scuola o da un corso mi chiedesse un consiglio gli proporrei di provare l’esperienza lavorativa all’estero. Ti apre la visione del mondo e ti consente di capire come è il livello generale del bartending.
Il panorama futuro lo vedo così: esperienza fuori dall’Italia per completezza, cercando nelle città come Londra, Parigi o Barcellona quel sapere che altrimenti ti sarebbe precluso restando solamente nel nostro paese. La fortuna di essere barman è anche questa, perché, rispetto ad altre professioni, è molto più semplice trovare una occupazione all’estero.
Ovviamente non intendo consigliare una fuga verso l’estero a tutti i giovani barman, perché il secondo consiglio che darei è di ritornare in Italia e portare idee innovative, oltre che il bagaglio di esperienza, sia professionale che umana.
Opinioni e consigli di Cristian Morandi
Ritieni che il barman possa essere quindi una professione che permetta di lavorare ovunque?
Credo che in questo momento, in cui si parla molto di crisi economica e occupazionale, il barman sia una eccezione. Il bartending, a livello internazionale, non ha mai risentito di tale crisi. Può darsi che io domani apra una bar e non ingrani, ma ciò non può essere colpa della crisi.
Un qualsiasi albergo, ristorante oppure locale che lavora bene non subisce la crisi, anzi. La gente ha comunque voglia di svagarsi e di uscire, ed i locali esistono per questo. Ed è così in tutto il mondo, a livello generale. Se fossi un giovane barman e non avessi particolari legami o particolari situazioni partirei domani stesso, sicuro di trovare un impiego nel settore. Da li via per un’altra esperienza, perché i locali, i ristoranti e gli hotel sono ovunque.
C’è sempre bisogno del nostro lavoro, l’importante è farlo bene e farlo con umiltà. Il Negroni che bevo oggi a Varese è lo stesso che posso bere domani a New York, solamente preparato da un altro barman. Questo è bellissimo.
Quali consigli daresti a chi si approccia alla professione del barman?
Il consiglio primario è tenere sempre un buon grado di umiltà, sempre! Il secondo consiglio è di dedicarsi tanto, tantissimo allo studio e alla applicazione. Infine cercare di fare esperienza affiancandosi ad un capo barman o un bar manager che sia un professionista, e che gli possa dare le nozioni fondamentali.
Un altro consiglio, mi ripeto, è quello di provare una esperienza all’estero, che trovo fondamentale. Ed è bene non sentirsi appagati, andare sempre oltre, cercare di capire il mondo del bartending a 360°. Sotto questo aspetto consiglio di valutare tutto l’arco della giornata, e quindi conoscere non solo l’essenza del drink ma anche della caffetteria, oppure della cucina, per capire come si possa integrare il drink con un piatto o delle tapas.
Come prima esperienza sarebbe auspicabile un locale notturno, magari in uno di quei posti in cui la qualità non sia il punto di forza, e quindi nei locali più affollati, come possono esserlo le discoteche o gli estivi all’aperto. In questo modo ci si mette sin da subito alla prova, arrivando a gestire il rapporto tra un buon drink e l’elevata velocità di esecuzione.
Dopo di che cercare una struttura diversa e più raffinata, cercando l’interazione con un tipo di clientela più esigente. In questo modo si può diventare esperti della accoglienza al cliente, punto fondamentale nella formazione di un buon barman. E’ importante avere a che fare con persone “note” e saperli accogliere adeguatamente.
Cocktail and co
Quali sono i cocktail che ti piace preparare e quelli che gradisci bere?
I drink che preferisco miscelare sono parecchi, sia di mia creazione che di altri. Ho sempre stimato molto il Mai Tai, in tutte le sue versioni. Un po’ per la cultura Tiki ed un po’ per le rivisitazioni: dalla classica ricetta IBA alla versione di Don Beach.
Quando lo preparo ricevo spesso dei complimenti dai miei clienti, e ci metto tutta la passione possibile. Ti confesso che preferisco di gran lunga prepararlo che berlo, anche perché, quelle poche volte in cui faccia il cliente, preferisco bere drink semplici, oppure birra o vino. Se invece conosco il barman, oppure mi accorgo che c’è consapevolezza nel barman con il quale mi approccio, mi permetto di chiedere qualcosa di elaborato.
Un altro drink che a me fa impazzire, e che bevo subito dopo essere stato a cena, è un after dinner molto conosciuto. Sembrerò banale ma io adoro il White Russian, reso celebre dal grande Big Lebowski, anche se nel film era preparato in una forma non perfetta. Nella ricetta è presente la panna, per cui è bene fare attenzione alla qualità dei prodotti, perché la panna scadente, o mal conservata, rischia di procurare dei fastidi immediati non indifferenti.
Il White Russian è un cocktail semplice da miscelare, però ci sono dei barman (o meglio, sedicenti tali) che si esibiscono in ricette improponibili. Mi è capitato una volta di chiederne uno e mi sono visto servire un drink shakerato versato in coppetta.
Per quanto riguarda gli aperitivi resto un amante del classico: Americano su tutti, oppure le rivisitazioni del barman del caso. Ultimamente mi sto appassionando al Daiquiri, nella sua versione più classica, specialmente se preparato con lo zucchero di canna bianco invece che lo zucchero liquido. Il Daiquiri è anche uno di quei drink che amo preparare.
A questo proposito, da qualche tempo sto utilizzando i prodotti della Calabro, una azienda italiana che produce dei liquori eccellenti! E’ un marchio che ha la propria azienda agricola e quindi lavora con i propri prodotti. Produce degli ottimi liquori ed ultimamente sto collaborando con loro: abbiamo da poco fatto la presentazione di un liquore al fungo porcino, prodotto con dei funghi della Sila esiccati in infusione alcolica e successivamente reso liquore. Un vero portento, che a breve proporremo anche in Germania, a Berlino.
Con loro ho creato una lista drink che si sta diffondendo molto bene e si può trovare in numerosi siti di settore. Producono anche una liquirizia che reputo una delle migliori sul mercato, con la quale sto avendo un buon successo con la mia clientela. Propongo loro un Whisky Sour con questa liquirizia e con della menta, un ottimo after dinner!
Terminiamo la nostra chiacchierata sorseggiando idealmente un whisky sour liquirizia e menta, confidando di avere ancora a breve la possibilità di discutere in tema di bartending con un vero professionista: Cristian Morandi.
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