Daniele Baito, detto Jack
Daniele Baito, detto “Jack”, è agente horeca responsabile area per conto di Carlsberg. E’ ambasciatore del birrificio Poretti ad Expo 2015 e guida di stabilimento del sito di produzione della birra Poretti di Induno Olona.
Molti si chiederanno quanti anni ed anni di sacrifici abbia dovuto trascorrere, tra scuole, libri e corsi, ma conosciamo Jack da molto tempo e riveliamo da subito un dettaglio. Daniele Baito, nonostante la giovane età, ha una esperienza pluridecennale dietro al banco ed ha svolto ogni tipo di mansione nel mondo del bartending. E questo vale molto più che un master nella più prestigiosa università del mondo.
La carriera di Jack
Scopriamo la carriera di Daniele Baito “Jack”:
“La mia carriera è iniziata molto presto, prima ancora di partire per il servizio militare quando avevo all’incirca 16 anni. A quel tempo i genitori della mia fidanzata avevano un bar, il bar Haiti, di Marnate (Va) e nei weekend andavo a dare una mano. Ci andavo solo durante il sabato e la domenica perché durante la settimana lavoravo come magazziniere da quando ne avevo 14 di anni e non avrei mai creduto di potermi appassionare così tanto a questo mestiere.
Appena messo piede sul banco non sono più sceso perché ho trovato immediatamente la mia dimensione. Ho continuato fino a quando non sono stato chiamato per adempiere agli obblighi di leva come Bersagliere nel 3°reggimento goito di Milano
Al ritorno, nonostante mi fossi lasciato con la mia ragazza dei tempi e aver perso quindi il lavoro nel bar dei suoi, trovai subito lavoro grazie ad un grande colpo di fortuna. Proprio dietro a casa mia aprì il Crazy Bull Cafè di Castellanza, vero pioniere del bartending e locale di riferimento di tutta la provincia di Milano e Varese. Con il senno di poi ti dico che il locale fu una fucina di barman talentuosi e divenuti famosi in seguito.
Il Crazy Bull fu uno dei primi locali ad adottare il conteggio in once, e quindi l’attrezzatura adeguata, oltre che presentare il working flair. In quell’epoca d’oro ho avuto il piacere di apprendere dal precursore degli anni 90 e visionario Vicente Romeo, spagnolo di Madrid.
Ho iniziato al Crazy Bull come busboy e cioè la persona addetta a portare via dai tavoli i piatti sporchi. Dopo il primo mese ero titubante, per la paga e per la mansione, ma Vicente Romeo credette in me e mi portò sul banco. Da li ho iniziato come lava bicchieri, quindi come spillatore ed infine ai cocktail, restando al Crazy Bull per 4 anni.
Successivamente ho deciso di fare nuove esperienze, lavorando in altri locali e occupandomi anche di aperture di nuove location e di formazione; ho deciso quindi di aprire una attività con alcuni amici che mi ha dato ottimi risultati dal punto di visto economico imprenditoriale, ma non così bene sotto l’aspetto della compatibilità caratteriale.
In quell’ambito, a 31 anni, ho conosciuto la persona che sarebbe diventata mia moglie e per questo motivo, oltre per il fatto di essere logorato dalla vita notturna, ho fatto una scelta di vita che avrebbe consentito di dedicarmi alla famiglia.
Data la mia esperienza ho capito che il settore delle vendite ero quello in cui gettarmi alla ricerca di una nuova posizione. I miei 12 anni di barman potevano equivalere ad una università! Ho così passato l’usuale trafila di chi cerca lavoro: ho risposto ad alcuni annunci, ho effettuato dei colloqui e sono stato preso!
Da barman ad agente
Dal 2006 ho iniziato la mia esperienza in Almab, un’azienda di Saronno leader dell’ Import-export di birre speciali tedesche,inglesi, australiane e belghe. Dal 2010 sono stato cercato e voluto in Carlsberg, azienda leader nel mondo di produzione e vendita birra, forte della conoscenza di numerosi prodotti grazie alla mia lunga esperienza da barman.
Il vantaggio di noi barman è notevole, perché quando entro in un locale mi basta dare una rapida occhiata e osservare il barman per capire chi ho di fronte. In questo caso posso confrontarmi con una persona che vive un quotidiano che conosco alla perfezione, perché i suoi problemi sono quelli che vivevo io ieri. Questa professione non è però così semplice, presenta molte sfumature. Perciò non è detto che un bravo barman possa diventare un buon agente!
Quando entro in un locale io mi prendo carico di risolvere i problemi del barman e di aggiornarlo sui nuovi prodotti o sulle nuove tendenze. non dimentichiamo che chi ha un locale non ha il tempo di uscire, vedere ed informarsi sul campo. E’ come se fossi un socio “nascosto” che gli indica delle soluzioni, proprio come un consulente.
Attualmente seguo qualsiasi tipologia di locale che abbia necessità di riferirsi ad una figura come la mia: bar, pizzerie, trattorie, lounge bar, american bar, discoteche, locali estivi, feste, ecc ecc.
Principalmente mi occupo della vendita di birra, essendo Carlsberg un grandissimo produttore; è però logico che, per fornire una proposta completa ai clienti fornisco loro anche le altre materie prime, come possono essere succhi di frutta, crodino, campari,spirits e vino ecc ecc.
Carlsberg è il terzo gruppo al mondo per produzione e vendita di birra, dopo Inbev ed Heineken. In Italia è noto per avere acquistato il birrificio Angelo Poretti, la Tucker di Norimberga e Grimbergen di Bruges. Nel mondo sono compresi molti altri marchi, tra i quali la Baltika, numero uno in Russia.”
Daniele e la birra
Parliamo di Poretti per analizzare la contestata questione sulla birra artigianale e sulla pseudo tale:
“Innanzitutto partiamo dalla parola “artigianale” che crea confusione e sarebbe legalmente inappropriata. Quando una birra è artigianale? Quando è prodotta in cantina? Quando è prodotta da due persone invece che da 400? Perché fa pochi ettolitri?
La birra artigianale sono quelle piccole produzioni che oramai sono esplose in tutta Italia. Il vantaggio di tale situazione è la riscoperta dell’estro e della creatività tipicamente italiani che ha portato i produttori a fare delle prove per creare dei prodotti che a volte sono risultati eccezionali.
Il problema, se può essere tale, è il fatto dei consumi. La birra prediletta dal mercato è la Pils, o comunque le chiare, e questo tipo di birre possono essere consumate in grande quantità. Le birre artigianali hanno un limite perché difficilmente si superano le due pinte data la loro complessità.
Per questo motivo un birrificio artigianale per “fare volumi” deve necessariamente produrre birre facili da bere, a meno che il prodotto sia talmente superlativo da poter vendere in tutto il mondo. Se consideriamo la Poretti, oltre al prodotto, si può vantare della grande distribuzione, del marketing, degli investimenti. Avendo maggiore potenza economica si può permettere di acquistare materie prime molto costose a prezzi molto bassi data la quantità d’acquisto.
La forza di Poretti è anche questa, pur considerando la qualità delle materie prime. Quando si trova sulle bottiglie la dicitura 5,6 o 7 luppoli significa realmente che sono necessari 5,6 o 7 tipi di luppoli differenti, ricercati dal mastro birraio. La Poretti 10 luppoli, che rappresenta l’Expo 2015, ha realmente dieci tipi di luppoli diversi che arrivano da tutto il mondo. E’ stato qui che la forza del marketing ha spinto il prodotto perché il fatto di identificare la birre in base ai luppoli, e quindi ai numeri, è stata una mossa molto importante che ha portato la Poretti al successo. In questo caso il marketing ha trainato il prodotto che una volta provato è piaciuto.
Il marketing diventa efficace a favore dei consumatori, perché capita che qualcuno abbia dei pregiudizi infondati. Ricordo qualche tempo fa, quando la Poretti non era così in voga, che alcuni identificavano la birra di Induno Olona come “sottomarca” della Moretti, forse anche per una semplice assonanza; ora è l’esatto contrario! Se vede una Moretti nel frigo ed una Poretti prendi decisamente la seconda!”
L’importanza della formazione
Torniamo all’inizio, e quindi al bartending; quanto conta l’esperienza sul campo e quella formativa?
“Data la mia esperienza personale e la mia “anzianità” (Daniele ha solo 39 anni ma il fiero ruolo di padre gli consente di sentirsi più “vecchio”….ndr) posso raccontare quello che ho vissuto. Durante il mio inizio di carriera non c’erano scuole di barman per cui la mia formazione è avvenuta dietro al banco, ed è quella che consiglio.
Ora esistono molte scuole e corsi, e dato il mio vissuto obbligherei qualsiasi scuola ad effettuare tre giorni a settimana sul campo. Mi riferisco a far lavorare gli allievi, affinando tecnica, affrontando problemi e capendo il mondo a 360 gradi. Il bancone è la Oxford del barman.
La formazione base è positiva però ricordo i tempi in cui sono nate le prime scuole. Alcune approfittavano della novità e della poca concorrenza per proporre prezzi oltre i 1000 euro. Davvero troppo per ciò che offrivano perché io, senza vantarmi, potrei insegnarle in una giornata di lavoro, se messo nelle condizioni ideali.”
Ritieni la via di mezzo la soluzione ideale?
“Secondo me il corso va fatto, ma va fatto dietro al bancone. Non si deve illudere l’allievo che dopo il corso sia pronto per andare dietro al banco e fare cocktail! Qualsiasi datore di lavoro vuole vedere queste cose, e non su un pezzo di carta che qualifichi che si sia seguito il corso.
Consiglio di partire dal basso, come barback, e magari iniziare ad allenarsi prima dell’orario di lavoro, sino ad iniziare a preparare i drink nelle prime comande della serata.
Questo è quello che penso io, non è la verità assoluta ma il modo in cui sono cresciuto. Capita ogni tanto che faccia una serata dietro al banco e mi succede che qualcuno si complimenti chiedendomi quali studi abbia fatto. Quando gli dico che ho imparato sul campo rimangono sbalorditi.
Ma ho imparato esattamente così: guardando, imparando, allenandomi a casa, informandomi ovunque.
Che consigli daresti a chi vuole diventare barman o a chi, come te, intende intraprendere una carriera oltre a quella di barman?
“Consiglierei ad un aspirante barman di fare un corso ma di non fermarsi li. L’errore più grosso è considerarsi arrivati: all’uscita del corso non si è barman.
In secondo luogo consiglierei di cercare un lavoro nell’ambito e di accettare di fare il lavabicchieri o il back di qualcuno. Avere pazienza, osservare ed imparare; non avere fretta è fondamentale. Salire sul banco troppo presto implica il rischio di bruciarsi, e li è finita, perché i barman bravi lavorano sempre, gli altri no.
Chi invece intende guardare più lontano non deve andare chissà dove, il consiglio è lo stesso. Imparare a fare il barman ed imparare bene! In questo mondo si parte molto più avanti rispetto agli altri, perché poi il mondo è incentrato tutto sul bar (o locale che sia) in cui la figura principale è il barman.”
Cocktail and much more
A questo punto ci concediamo un pò di leggerezza in più: cosa preferisci bere?
“Io ho avuto dei passaggi durante la mia vita professionale. Quando ero dietro al banco ero molto più appassionato di drink, e quindi, amando il whisky, tutto ciò che è a base di whisky, anche se l miei cocktail preferiti sono vodka sour e margarita. Il primo per il pre serata, il secondo se mi sento più “cattivo”.
Per quanto riguarda la birra io adoro le chiare, tipo Pils, e le rosse doppio malto facili, evitando le più corpose e le triplo malto. Non bevo vini rossi perché mi provocano sonnolenza mentre mi piacciono molto i bianchi profumati come il Sauvignon o il Gewurztraminer. Le bollicine quando di livello vanno bene altrimenti non rientrano nelle mie preferenze.
Un’ultima considerazione viene spontanea:
“Ho assistito alla metamorfosi del barman. Una volta era un barista, successivamente divenuto barman e poi bartender, ora uno barchef. Se vai su una station di un buon locale trovi le spezie, la frutta essiccata, il cannello per caramellare ecc ecc. Siamo arrivati ad un livello molto alto”
ps:
Sei bravo quando il cassetto e pieno!!!
Ad ognuno il suo.
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