Mr. Giorgio Fadda
Giorgio Fadda è indiscutibilmente una delle figure più importanti del bartending nazionale e internazionale.
Dopo numerose esperienze nei contesti più importanti ha lasciato la pedana del bar, dedicandosi a svariate attività per promuovere la professione del bartender.
Mister Giorgio Fadda elabora programmi di corsi di formazione e organizza eventi a cui partecipano le organizzazioni internazionali di settore. Collabora inoltre con l’Aibes, di cui è stato presidente, ed è vice presidente dell’IBA . E molto altro.
La professionalità e la competenza sono i frutti della tenacia e della passione che non mancano a quest’uomo, diventato uno dei bartender più noti del settore partendo da una situazione non di certo agiata.
Ma Giorgio Fadda è soprattutto una di quelle persone le cui parole, quando vengono pronunciate, fanno riflettere in silenzio. Parole che sanno di vita, espresse con garbo ed eleganza, mai banali né boriose.
Giorgio Fadda dedica un po’ di tempo per illustrare le sue esperienze e le sue idee, raccontando una storia che potrebbe entrare in un romanzo.
Gli inizi, la Sardegna
Come è avvenuto l’approccio al bar?
“Ho iniziato per necessità, perché ho dovuto provvedere a me stesso sin da ragazzino, rifiutando l’aiuto dei parenti. Mi sono inventato i lavori più strani, spesso i più pesanti, e coltivavo la passione per la musica.
Al tempo suonavo la batteria in un gruppo e avevo l’esigenza di acquistare nuovi strumenti. Un componente della band mi propose di lavorare nel bar del padre, che era il locale più noto della città.
Fu l’ingresso in un nuovo mondo, e a 14 anni mi trovai in camicia e papillon a servire bella gente, guadagnando più che un operaio. Così scelsi la strada del bar.
Poi feci un altro passo, e mi recai in autostop in costa Smeralda, deciso a trovare un impiego. Trovai subito un posto in un hotel cinque stelle, nel quale avevano un bisogno disperato di un commis di bar proprio in quel momento.
In questo modo scoprii il mondo degli alberghi di lusso, che mi coinvolse subito. Era un ambiente molto affascinante, che mi permetteva di avere con fare con persone molto famose, come Aristotele Onassis e Jacqueline Kennedy.”
Lo sbarco a Londra
“Dopo tre stagioni feci il grande salto e andai a Londra, rimanendovi per tre anni. Ebbi la fortuna di lavorare con il presidente della UKBG in un albergo di lusso. Anche qui venni a contatto con persone celebri, soprattutto della politica inglese, come il primo ministro di allora.
A 18 anni divenni il capo barman del Capitol di Londra, un cinque stelle molto rinomato, in particolare per la cucina. Tra i clienti conobbi Charlie Chaplin e Andrew Lloyd Webber, tra gli altri. Fu probabilmente in questo periodo che decisi che sarebbe stato il lavoro della mia vita.”
Vide molte differenze tra Inghilterra e Italia?
“A me sono servite entrambe le esperienze. Quella italiana, soprattutto legata al bar di città, è stata molto importante. La base della formazione arriva proprio da li, con il contatto con il cliente: è grazie a questa esperienza che sono diventato capo barman a 18 anni.
Ricordo che in ogni bar di città, almeno in Sardegna, l’accoglienza era fondamentale e il personale si presentava con giacca e cravatta, con un approccio molto curato verso il cliente. E’ stata una scuola importantissima per me.”
Il ritorno in Italia, il Lago di Garda
“Al mio ritorno in Italia mi mancava l’aspetto della velocità, essendo io un fanatico del buon servizio. Così decisi di lavorare in discoteca, sul Lago di Garda.
Rimasi dieci anni, tra gli anni 70 e 80, guadagnandomi una buona reputazione nella zona. Molte persone dicevano “andiamo da Giorgio” per indicare il locale in cui lavoravo, La Spiaggia degli Olivi.
Una volta un cliente mi raccontò che quando si trovava a Ibiza, conobbe una ragazza tedesca che gli domandò di dove fosse. Quando lui rispose “del Lago di Garda” lei disse “ma allora conosci Giorgio?”.
L’esperienza mi diede la possibilità di migliorare l’aspetto della velocità. Si lavorava senza basi e pre-mix e la miscelazione era un po’ limitata. Io rimanevo aggiornato grazie a degli amici che lavoravano negli Usa, e posso dire di essere stato uno dei primi a importare drink come Pina Colada e White Russian. Mi facevo spedire anche i metal pour, che utilizzavo frequentemente.
La passione per il bar si esprimeva anche nella divulgazione, perche’ mi piaceva condividere le novità con i miei colleghi. Così entrai nel mondo della formazione, assistendo le prime persone che insegnavano in italia: Luigi Parenti, Nino Cedrini, Peppino Manzi.
Poi sviluppai un mio programma, i cui argomenti sono quelli che ancora oggi Aibes insegna.
Dopo l’esperienza in discoteca realizzai il sogno di diventare direttore di albergo, che feci per un anno con buoni risultati e alcune menzioni sui giornali. Mi mancava però il contatto con il pubblico, così ritornai a lavorare nel mondo degli hotel a cinque stelle sul Lago di Garda, sino a quando mi spostai a Venezia.”
Il bar oggi
Quali cambiamenti ha notato nella figura del bartender?
“Trovo che alcuni barman abbiano un atteggiamento da protagonista, ricalcando lo stereotipo dello chef, con la differenza che lo chef tratta con cuochi e padelle, non con il pubblico. Questo atteggiamento è tipico nella persone con vivono la professione del barman come un mettersi al servizio, anziché fornirlo.
Il cliente, indipendentemente dalla posizione sociale e dal suo potere di acquisto, va conquistato. E’ importante come accogliere, come poter essere utile, come fornire indicazioni sulla città. La vendita di un drink è la conseguenza dell’instaurazione del rapporto di fiducia.
Poi trovo anche molti giovani barman validi, che hanno smosso il mercato e che sanno fare bene il proprio mestiere.”
Cosa pensa della riscoperta del jigger?
“In Inghilterra i jigger venivano usati per legge quindi, pur avendo una discreta manualità, mi dovetti allenare a versare nel jigger. Il jigger, anche nei bar degli alberghi di lusso, veniva lavato poche volte rispetto alla frequenza d’uso. Inoltre alcuni non erano totalmente precisi, a seconda del costo, e quindi della marca.
E poi non verserei del whisky dove prima è stato versato del liquore o un succo di un agrume. Il vantaggio dei barman della mia età è che sanno usare sia il jigger che il metal pour, così come il free pour. Il jigger inoltre rischia di standardizzare la professione.”
Consigli
Che consigli darebbe a chi voglia intraprendere la professione del barman?
“E’ banale ma è questo: studiare. Non limitarsi a libri o a internet, che spesso ospita informazioni mirate da questo o quel brand. Girare e visitare, come ho fatto io in Messico: zappare la terra dove crescerà l’agave, vedere la distillazione delle pigne. Oppure frequentare le distillerie del Cognac e della Scozia, o i vigneti dello Champagne.
Leggere qualche testo di psicologia e studiare il rapporto con la clientela, che è la base del mestiere. Insegnare 30 o 60 drink è relativamente semplice, la cosa difficile è sviluppare l’approccio con il cliente. Basta essere disponibili e avere una chiarezza degli intenti. A me piace vedere il cliente soddisfatto.
Un consiglio che mi sento di dare è questo: dedicare una buona cura al proprio corpo durante il tempo libero, con corsa, bicicletta, ginnastica. E’ una pratica che rigenera, ed è un consiglio che sento molto forte.
Un cocktail che consiglierebbe?
“Non mi piace fare nomi, ma alcuni drink come il Bramble e l’Old Fashioned li apprezzo. A me interessano i cocktail che durano nel tempo.”
Il futuro
Progetti nel futuro di Giorgio Fadda?
“Sto scrivendo il programma per l’Elite Bartender Course che terrò a Venezia. Sto sviluppando il programma di bar manager per l’Aibes. Ci sono molte collaborazioni in corso, tra le quali l’incontro a Jerevan con i delegati delle associazioni europee. Poi mi occuperò del prossimo congresso dell’IBA che si terrà a Shengzhou.”
A quando la nuova lista IBA?
“A novembre proporrò la nuova lista, con delle variazioni solamente nella categoria New Era Drinks. Inseriremo qualche nuova ricetta senza produrre grandi cambiamenti.”
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