Nella grandi città del bere miscelato è considerato facile fare grandi numeri, data la grande quantità di persone che gravitano presso tali centri; di contro la concorrenza spinge a non abbassare mai la guardia, e le aperture di nuovi locali sono quasi all’ordine del giorno.
In simili contesti la ricerca di attenzione è un dato con cui bisogna avere a che fare: c’è chi spinge nuove tendenze, chi cavalca vecchie mode, chi urla e chi si nasconde.
In tutto questo movimento c’è chi riesce a far coincidere una precisa scelta stilistica con la qualità, abbinandola al fatto di rimanere schivo, senza urla e senza inutili preziosismi.
Joy Napolitano si concede il lusso di esser naturale, rimanendo a proprio agio in un ambiente assai particolare.
Gli inizi di Joy
“Ho iniziato praticamente da bambino perchè a contatto con il bar di mio padre: posso dire di essere nato e cresciuto dentro al bar.
In gioventù ho preso dapprima altre direzioni, tra le quali la carriera militare, e dopo l’esperienza nell’esercito sono ritornato al bar.
Mi sono specializzato nella miscelazione nel 2004 (precedentemente lavoravo per lo più nella caffetteria), successivamente ho frequentato altri corsi e seminari, seguendo un percorso piuttosto lineare, che mi ha portato a lavorare anche nelle discoteche.
La vera svolta posso attribuirla alla frequentazione di un corso di miscelazione avanzata con Daniele Gentili nel 2013, da cui ho appreso moltissimo.
Il fatto di diventare manager di alcuni locali mi ha permesso di studiare la miscelazione da punti di vista differenti: la passione poi ha fatto in modo che sviluppassi la professione a tutto tondo ed in maniera completa.”
Barber Shop
“Il lavoro da manager al Barber Shop mi ha permesso di proporre un’offerta easy, con una buona proposta di classici, con cocktail a base di Whisky e Gin soprattutto.
Nella nostra lista sono presenti quindici drink con whisky, ed alcuni dei nostri cocktail sono sviluppati in pre batch.
Il Barber Shop viene spesso associato al concetto di speakeasy, mentre è nato con una differente concezione: ad oggi la nostra evoluzione fa si che il locale sia considerato a tutti gli effetti uno speakeasy, nell’accezione moderna del termine.
Agli inizi i drink erano orientati sul gusto del pubblico, per portare più gente possibile a scoprirci, dopo di che abbiamo corretto il tiro con il tempo.
Il fatto più caratterizzante è, come il nome suggerisce, la combinazione barba&capelli mentre si può sorseggiare uno dei nostri cocktail.
A tal proposito nei prossimi mesi organizzeremo degli eventi, probabilmente con cadenza bisettimanale, nei quali sarà possibile usufruire del servizio di barberia sino all’ora di chiusura del locale.
La nostra squadra al Barber Shop è molto affiatata: io, Ilaria, Valerio e Matteo puntiamo molto sul concetto di accoglienza e riusciamo a reagire alle difficoltà tutti uniti.”
Prodotti
“Io credo che la moda del Gin sia stata importante: io rimango però sempre fedele al mio amato whisky, in tutte le sue principali forme, e cioè sia esso americano, scozzese, irlandese o giapponese: noi lavoriamo molto con il Rye Whisky, infatti.
Secondo me il Vermouth può avere una buona spinta, anche se credo che resterà sempre un prodotto molto importante in ogni drink list.
In italia si usano molto i prodotti nostrani, credo possano andare i prodotti home made, mentre per quanto riguarda la mia realtà vedo il Tequila ben spinto, anche se non credo durerà molto.
Il discorso degli home made mi riguarda, in quanto li utilizziamo al Barber Shop ma in maniera molto easy, senza complicarci troppo la vita.
Sui prodotti italiani noto però una “stranezza”: ci sono alcuni Gin che costano molto, ma se li rapportiamo a dei prodotti equivalenti stranieri che hanno cifre diverse sembrano costare tanto, forse troppo.
Quando sei bar manager questi conti debbono essere fatti, e se si tratta di scegliere tra un Bombay ed un Gin italiano il confronto non regge.”
Mixology
“Sarebbe stupido affermare che non sia importante, anche perchè io stesso sono in mezzo a questo discorso.
Credo però che non si debba esagerare, perchè dieci prodotti all’interno di un drink sono troppo e difficilmente percebili: si deve essere nel giusto contesto.
Se invece mixology è sinonimo di riscoperta del classico, e dei cocktail classici come Manhattan oppure Old Fashioned, che ben venga!
Penso che il vero spartiacque sia stato a metà anni ottanta, con il lavoro di Bradsell e dei professionisti simili a lui: credo comunque che questo fenomeno durerà ancora a lungo.”