La lunga storia del rum italiano

Il rum in Italia

Il rum è il distillato che più di ogni altro ha influito sulla storia del mondo, orientando e mutando aspetti geografici, politici, storici e sociali dell’intero pianeta. Tipicamente prodotto nella vasta fascia che comprende i due tropici, molta della storia del rum passa anche attraverso l’Italia, nell’isola siciliana.

Quanto di quel leggendario passato è ancora vivo nel nostro paese? Ben poco, ad eccezione di alcune recenti realtà che producono rum, con tirature moderate rispetto al resto del mondo. Non tutti sanno però che nella seconda metà del secolo scorso il rum italiano era un affare vivo e redditizio, che ha popolato in maniera decisa la vita sociale degli italiani. Sono pochi quelli che conoscono la storia della golden age del rum italiani, tra i quali sicuramente Valerio Bigano.

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Grafico pubblicitario, ex docente dell’Accademia di Belle Arti, collezionista e autentico ricercatore: Valerio Bigano ha saputo ricostruire la storia del rum italiano e ha pubblicato un volume incredibile, in cui è racchiusa la bellezza, la storia, il fascino e il ruolo del rum italiano.

La lunga storia del rhum italiano esce nel settembre del 2023, ed è una delle fatiche dell’autore circa il mondo del buon bere. L’introduzione del libro è piuttosto esplicativa:

La lunga strada del rhum italiano esce nel settembre del 2023, ed è una delle fatiche di Valerio circa il mondo del buon bere. L’introduzione del libro è piuttosto esplicativa:
Molta strada ha percorso il rhum italiano a partire dal lontano 1857, quando venne citato per la prima volta sul “Nuovo e Unico Manuale Completo del Distillatore-Liquorista” di Pietro Valsecchi. Nelle oltre 100 pagine del volume “La lunga storia del rhum italiano”, oltre a essere presentate più di 250 bottiglie d’epoca, vengono raccontate le vicende imprenditoriali di molte aziende storiche, nonché le origini e gli approfondimenti su questo distillato di gran fascino, che da “bevanda degli schiavi” fu elevato al rango di prodotto di moda.

Questo il racconto di Valerio.

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Valerio Bigano e La storia del Rhum Italiano

Chi è Valerio Bigano

“Nel 1981 mi sono laureato in Arte e Scienze Grafiche al Politecnico di Torino e – dopo il servizio militare – ho aperto uno studio pubblicitario. Sino allo scorso febbraio [2024, nda] sono stato docente di Tecniche Grafiche Speciali all’Accademia delle Belle Arti di Verona.

Parallelamente sono un collezionista di bottiglie mignon di liquori italiani e redattore de Il Collezionista di Liquori, una rivista specifica sul tema dell’Associazione Italiana Collezionisti di Liquori. A questa associazione sono iscritte anche numerose aziende produttrici di liquori.

Nel 2013 un nostro associato mi ha indicato un collezionista che aveva intenzione di creare un libro sul whisky italiano; questo mi ha fatto conoscere bottiglie che prima di allora nessuno aveva mai visto, reperite presso i più importanti collezionisti del nostro Paese. Il libro è stato il “detonatore” che ha acceso la miccia: l’anno successivo ho proposto a Jacopo Poli – titolare delle Distillerie Poli – di fare un libro simile sulle bottiglie di grappa d’antiquariato: ne è venuto fuori un libro di 220 pagine stampato e pubblicato da Rizzoli che ha avuto un grande successo.

Posso dire che questi due episodi sono stati il primo passo verso la mia carriera di autore, che è giunta al 25° volume, tra libri autoprodotti e commissionati da aziende.”

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Collezionismo e mignon

La passione per i mignon: da dove tutto nasce
“Quando avevo 13 anni, mio fratello maggiore vide un film in cui il protagonista giocava a scacchi con i pezzi sostituiti da mignon di alcolici [Il nostro agente all’Avana? nda] e iniziò a collezionarle. Per emulazione, anch’io iniziai la mia raccolta, con la differenza che decisi di specializzarmi nelle bottigliette di grappa per il costo inferiore: la prima bottiglietta una Grappa Libarna che pagai 20 lire. Così è iniziata la passione e l’introduzione nell’Associazione, di cui da 15 anni seguo la rivista, che esce con cadenza bimestrale.”

Cosa ti affascina delle aziende? Il progetto imprenditoriale o la storia?
“I due fattori sono secondo me inscindibili perché c’è una compenetrazione. Posso rispondere affermando – senza presunzione – che mi ritengo abile nel recuperare e ricostruire la storia imprenditoriale di aziende scomparse ma i cui marchi sono tutt’ora di proprietà di aziende esistenti.

La ricostruzione non parte da zero, ma le fonti sono spesse frammentarie e non verificate: così il mio compito consiste nel ricercare informazioni ufficiali. Recentemente mi sono recato ripetutamente presso l’Archivio di Stato e l’Archivio Storico della Camera di Commercio di Torino, cercando notizie storiche ed effettuando verifiche. Mi è anche capitato di “correggere” la storia di alcune aziende che mi hanno richiesto una consulenza, a seguito di approfondite ricerche presso gli organi ufficiali. Questo è l’aspetto del mio lavoro che preferisco.”

Come operi?
“A volte succede di scoprire alcuni fatti relativi alle aziende storiche che neanche le stesse conoscono… cerco direttamente dalle fonti storiche e attendibili, non limitando la ricerca solo sul web.”

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Il rhum italiano

Come hai scoperto l’esistenza del rum italiano?
“Attraverso le mignon d’epoca della mia collezione. Sappiamo che il rum non ha una grande tradizione in Italia, soprattutto in termini di qualità. Nonostante ciò, il rum fantasia negli anni ‘60 e ‘70 ha avuto una buona diffusione, utilizzato sia in purezza che in pasticceria: mio padre faceva il pasticciere e ricordo che usava bagnare il pan di spagna con il rum, In quegli anni ogni azienda importante aveva in catalogo uno o più rum.
Data la mia esperienza precedente, con la elaborazione dei volumi dedicati a whisky, grappa e cognac, ho quindi deciso di approfondire la materia, perché penso che le bottiglie del rum italiano siano tra le bottiglie più belle mai prodotte.”

Dove hai trovato le bottiglie?
“La stragrande maggioranza delle bottiglie – che ho fotografato in originale – provengono dai collezionisti, con i quali ho ottimi rapporti, e conoscono la mia serietà e discrezione. Un particolare curioso è che, dopo la pubblicazione delle foto di queste bottiglie, i prezzi degli originali tendono a salire, per la gioia dei proprietari e il dispiacere degli acquirenti.”

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Quali sono i rum italiani che ti hanno maggiormente colpito?

“Ci sono aziende storiche – poche delle quali tutt’ora esistenti – e molte storie intorno al rum italiano. Dopo la pubblicazione del libro, alcune aziende hanno scoperto dei prodotti che non sapevano neanche di avere diffuso.

Molte bottiglie conservano ancora l’impagliatura, un dettaglio che fa impazzire i collezionisti! L’impagliatura nasce per questioni legate al trasporto; il Maraschino della Luxardo aveva l’etichetta sul vetro della bottiglia e la paglia andava levata al momento del consumo. Poi la ditta decise di caratterizzare il proprio prodotto attaccando l’etichetta direttamente sulla paglia. E così ha fatto la storia.

Ci sono molti aneddoti che potrei raccontare: in pochi sanno che in Dalmazia, quando questa era ancora terra italiana, si produceva un rum da the, la cui vendita era limitata. Allungare il the con un alcolico era un’usanza seguita anche dalla Regina Elisabetta allungava il the delle 5 con il whisky. Se ci pensi, non è così inconsueto che in quella zona si bevesse the con rum: Trieste era uno dei porti più importanti d’Europa e molti commercianti inglesi erano in città. Il rum da the ha semplicemente assecondato un bisogno latente già esistente in Inghilterra.

Sia la Luxardo che la Vlahov avevano un’etichetta di rum da the. Altre storie incredibili riguardano gli ingredienti che venivano introdotti nel rum italiano: ricordo una ricetta con fichi secchi, cuoio tagliato a cui era stata raschiata la concia, pimiento giammaico [già, proprio con due emme… nda], zafferano, essenza di rum, alcol. In alcuni casi si usava un composto derivato dalla macerazione di tartufi neri non destinati alla vendita e chiodi di garofano. Un’altra ricetta? Prugne, raschiatura di cuoio, catrame liquido, caramele [il caramello dell’epoca].

La Baker produceva rum a Trieste sino all’inizio della Guerra, per riparare in seguito a Londra e tornare in Italia a guerra terminata: producevano moltissimi rum con miscele di rum caraibici e centroamericani provenienti dai mercantili inglesi che facevano scalo a Trieste. I rum italiani erano famosissimi in tutto l’Impero Austroungarico, ed ogni locale rispettabile serviva i rhum italiani.”

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Quali etichette ti hanno colpito?
“Non dimentichiamo che la storia del rum è legata alla forma di sfruttamento più disumana della storia, pratica che consentì a latifondisti e potenze straniere di arricchirsi. Nonostante il basso costo e le origini bagnate di sangue, il rum ha saputo distaccarsi da questa sua origine, conquistando i mercati grazie all’immagine dei paradisi esotici che ha evocato, anche attraverso le etichette. Agli inizi dello scorso secolo tali immaginari non erano verificabili, tanto che le etichette raffiguravano i volti sorridenti dei lavoratori di colore impegnati nei campi.”

Il rum

Secondo te esiste la possibilità di una seconda vita del rum italiano?
“So che esistono produzioni molto limitate di rum italiani in Sicilia e altrove, ma sono scettico circa una rinascita del rum italiano.”

Bevi rum?
“Ne ho assaggiati un paio, ma non mi hanno colpito in particolare. In genere non sono un grande amante dei distillati. Sembra paradossale, ma la mia competenza è incentrata sulla storia delle aziende, non sono un grande conoscitore dei prodotti in sé.”

Se dovesse festeggiare un evento importante con cosa lo bagneresti?
“Forse una grappa di moscato; anche se il mio liquore preferito è il Kranebet della Rossi d’Asiago. È un prodotto che conosco molto bene, recentemente ho presentato un libro in occasione dei cent’anni del prodotto.”

photocredit: bigano.it

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