Luca Picchi, prima che un grandissimo barman, è una persona estremamente deliziosa con la quale si spenderebbero ore ed ore a parlare, tali sono la sua conoscenza, la cultura, la simpatia e la disponibilità.
Nonostante sia impegnato nelle proprie faccende, nella pausa tra un servizio ed il successivo, dimostra una grande cordialità e voglia di parlare in materia di bartending.
Inizi e carriera
Come hai iniziato ed in che modo?
“Ho iniziato per gioco e necessità nello stesso momento: mio zio Mauro Donati, personaggio particolare che non aveva una formazione ben precisa alle spalle ma aveva viaggiato per l’Europa facendo l’attore, aveva una discoteca, il Ciucheba Club, che sarebbe poi divenuta molto famosa; avendo molti amici il locale era spesso pieno, ed io iniziai a lavare i bicchieri ai tempi in cui andavo a scuola.
Erano gli anni 70 e si viveva il passaggio da night club a discoteche, quindi un periodo di grande interesse verso il nuovo tipo di locale; c’era molta gente che veniva ed io, nel locale in cui sciacquavo i bicchieri, facevo la conoscenza con i bar tools, strumenti che conosco ora alla perfezione anche grazie a quella esperienza.
In maniera naturale mi incuriosì la figura ed il lavoro dei barman, i quali mi introducevano la conoscenza dei gin fizz, del negroni, dello skiwasser, del cuba libre; mojito, caipirinha e cosmopolitan erano praticamente sconosciuti.
Successivamente iniziai a lavorare anche in sala, perchè prima, essendo minorenne, non potevo: rimasi quattro anni, arricchendo molto il mio bagaglio.
Ai tempi in cui iniziai l’università aumentai il numero dei servizi in settimana arrivando a quattro o cinque, per potermi mantenere gli studi: la passione prevalse perchè lasciai l’ateneo poco prima di laurearmi. L’esperienza accademica mi servì ugualmente perchè, avendo studiato presso una facoltà scientifica, mi avvalsi delle conoscenze di chimica, fisiologia, biochimica ecc ecc.
In merito a quel periodo voglio muovere una critica a quella generazione di barman, i quali sono stati molto più vicini di noi all’epoca d’oro della miscelazione, e cioè il periodo poco prima e poco dopo il proibizionismo; in quell’epoca c’era molta creatività e molta passione, caratteristiche che sono state successivamente semplificate dalla generazione successiva di bartender, a mio parere cadendo in errore.
Fortunatamente, da circa una decina di anni, ho assistito ad una riscoperta che mi ha piacevolmente colpito e stimolato, e cioè la reintroduzione di strumenti vintage, dai sifoni agli strainer, e ad un avvicinamento alla cura dei particolari.
Negli anni 80 e 90 ho visto uscire dei cocktail e dei prodotti secondo me discutibili, che tentavano di ammazzare la storia della miscelazione: si pensi ai drink colorati e ai distillati alla frutta di un certo tipo.
La semplificazione ha fatto dei danni: nei ricettari degli anni 90 il Singapore Sling era ritenuto composto da cinque ingrendienti al massimo, perchè così si voleva imporre, togliendo dalla ricetta il Cointreau e il Dom Benedectine: ma di cosa stiamo parlando?
Erano anni in cui si sono generati dei disastri, basti pensare in Italia alla nascita dell’Invisibile, del Sette Passi o dell’ Orgasmo: furono anni di barbarie [si scivola su un discorso generico in merito aglli anni 80, divagando nel tema della musica: Luca è stato anche disc jockey ed è un gran conoscitore di musica, ndr].
Alla fine degli anni 90 ho lasciato il mondo delle discoteche per inaugurare un nuovo locale; successivamente trascorsi un’esperienza all’Elba di quattro anni in cui mi confrontai anche con la cucina, avendo un ristorante american bar.
Tornando a Firenze lavorai al Maramao, disco bar della città che ora ha cambiato nome, mentre nel maggio del 97 cambiai radicalmente vita professionale con l’attuale esperienza al Cafè Rivoire. Qui ho cambiato tipologia di locale, abbandonando il mondo della notte per vivere la caffetteria e un altro tipo di miscelazione. Questa scelta mi ha aperto numerose possibilità, soprattutto di incontrare persone, perchè il Cafè si trova nel cuore di Firenze. E’ proprio qui che inizio la curiosità per il conte Negroni.”
L’incontro con il Negroni
Affrontiamo il discorso più interessante, di cui Luca è il massimo esperto:
“Un giorno decisi di indagare, con la volontà di mettere a tacere coloro i quali sostenevano che il Conte fosse nato a Roma, a Milano, in Patagonia, oppure in Africa.
La storia del conte Negroni è la storia di un personaggio nato e morto a Firenze ma che girò il mondo in un periodo fantastico. Intervistando Franco Scarselli, figlio minore di Fosco Scarselli, il giovane barman che serviva il cocktail Negroni al conte, venni a sapere che il nostro personaggio era un cowboy!
Il Conte e Scarselli erano molto amici, nonostante la differenza di età; quando il conte era a Firenze ed il barman al Golf Club si incontravano spesso i venerdi per passeggiare e chiaccherare.
Il conte Negroni aveva lavorato per oltre sedici anni in un ranch nel Wyoming, avendo dimestichezza con i cavalli per merito del proprio passato, avendo frequentato la scuola di cavalleria presso l’Accademia Militare di Modena. Era il responsabile del ranch e dopo l’esperienza da cowboy si trasferì a New York City dove rimase per cinque anni, durante i quali aprì una scuola di scherma a Madison Avenue, una delle zone più centrali di Manhattan: questo fatto è indicativo in merito alla disponibilità economica del Conte, il quale frequentava ambienti legati alle scommesse, essendo un temerario, ma anche più eleganti, ed evidentemente degli american bar.
Era il periodo della golden age dei cocktail ed il Conte, rientrando in Italia, sapeva benissimo cosa fosse la miscelazione. Dopo un periodo a Bolgheri, occupandosi dei cavalli della famiglia Della Gherardesca, tornò a Firenze e appese gli stivali al chiodo, dedicandosi ad una vita borghese: in una sua carta di identità del 1926 si può leggere nello spazio riservato alla professione “benestante”.
Iniziando a frequentare certi tipi di salotti venne a contatto con nobili ed intellettuali, anche stranieri: era bilingue dalla nascita e aveva conoscenza anche della lingua spagnola e francese; considerando che da poco la città di Firenze lasciava il suo ruolo di capitale italiana è immaginabile quale fascino e quale atmosfera si respirasse in città.
Erano gli anni degli artisti in esilio, dei letterati fiorentini che facevano a pugni con i futuristi in piazza della repubblica ed erano gli anni in cui nasceva il Negroni; molto probabilmente furono proprio i futuristi che, a loro insaputa, furono gli apostoli del drink, diffondendolo a Milano e a Roma.
Non è un caso se i primi twist del Negroni nacquero proprio a Roma e a Milano, con il Cardinale negli anni 50 ed il Negroni Sbagliato negli anni 70.”
Formazione e informazione
Quanto credi sia importante la formazione nella professione del barman?
“Non posso rispondere in merito alla scuola alberghiera perchè trovo grosse differenze tra gli istituti, mi è quindi impossibile dare un giudizio generico.
In Toscana ho visto molti istituti all’avanguardia, ma il problema è un altro: la scelta dell’indirizzo è limitato tra Sala e Cucina, mentre il bar è considerato una costola della Sala, mentre invece dovrebbe essere il contrario! Forse è per questo motivo che gli aggiornamenti vengono sempre svolti da docenti esterni.
Lo stesso discorso è valido per i corsi delle numerose accademie e scuole in tutta Italia: posso parlare dello Shaker Club, essendo la mia accademia, che è un club votato all’eccellenza. Facciamo corsi, consulenze, aggiornamenti, progettazione e startup.
I nostri corsi sono molti frequentati: lo Start da le basi delle tecniche e la conoscenza dei drink più diffusi, per avere un minimo di cognizione della professione; il corso Advanced è un salto di qualità, sul quale puntiamo molto, che riprende l’ispirazione del passato riproposta e rivista, mostrando ad ogni lezione un tipo di tecnica.
E’ molto importante la cultura generica, ed in questo caso la preparazione alberghiera è utile: serve l’educazione civica perchè esistono delle leggi in materia di somministrazione di bevande alcoliche che tutti dovrebbero conoscere. Anche i mixologist cosidetti Top dovrebbero avere queste nozioni, ed esistono degli aggiornamenti che dovrebbero essere seguiti: io ho la fortuna di avere una moglie avvocato e mi segnala ogni novità in materia.
E’ una materia spinosa che va compresa a fondo, anche alla luce della recrudescenza a livello legislativo che è fondamentale: i ragazzi vanno informati, non gli deve essere fatta una guerra, e per questo devono essere informati anche i somministratori di alcolici.
L’Italia è uno dei pochi paesi in cui non è necessario il patentino che certifica la conoscenza di alcune norme che certifichino tali conoscenze.
Consigli preziosi
Che consigli daresti a chi vuole iniziare la professione del barman?
“Che studi da dottore [grasse risate…]
Ricapitolando: non avere fretta, perchè il tempo deve passare, ed il grande barman sfrutta al meglio il tempo passato al bar.
Quando non si è al bar si deve studiare, applicarsi, assaggiare e testare; molto importante è il confronto, ma soprattutto l’umiltà. Si deve avere il massimo rispetto per i colleghi, e per chiunque in generale: se non avessi uno sciacqua bicchieri io non lavorerei, la brigata, o lo staff, è fondamentale, come l’interazione tra le persone.
Massimo rispetto e grande umiltà! E’ sposo al cento per cento lo slogan di Steve Jobs: Stay angry, stay foolish. Si deve essere affamati di conoscenza, e più che di follia parlerei di fantasia. “
Come vedi il livello dei barman italiani ed il contesto che ruota intorno?
“Negli ultimi anni ho viaggiato molto e frequento non solo american bar, ma anche ristoranti e normali bar: mi piace la cultura del paese di cui sono ospite.
Ho notato che in paesi considerati insignificanti si trovino delle belle sorprese: a Praga, ad esempio, tra Black Angel, Innuendo, Hemingway o Bugsy trovi dei locali stupendi: in quest’ultimo mi hanno servito un Mint Julep perfetto, sia come servizio che come qualità del drink.
Se ti rechi a Stoccolma vedi una bottigliera incredibile, ed uno staff sorridente, puntuale ed educato: abbiamo anche da imparare!
In Italia i grandi barman si contano su due mani, è giusto mantenere un profilo basso, perchè c’è sempre da imparare, anche dall’ultimo arrivato.”
C’è davvero da imparare dai grandi maestri.
Gentile Luca Picchi,
nel suo interessante libro Sulle tracce del Conte, scrive che Camillo Negroni morì’ al 48 di via Giotto (pag. 47) — tale numero oggi in via Giotto non esiste; mi può spiegare qualcosa di più?
Grazie,
Stefano Tani
Più moderato di così…