Rum e zucchero

Rum e zucchero, lo zucchero nel rum

Il rum è il distillato della canna da zucchero, impiegata principalmente sotto forma di melassa o di succo, che rientra nella grande famiglia dell’acquavite. Prodotto principalmente nell’area caraibica, e ovunque venga coltivata la canna da zucchero, il rum è certamente uno degli alcolici più diffusi e consumati.

Nonostante la fama planetaria di cui gode, ci sono alcuni aspetti che non sono a conoscenza del grande pubblico, male interpretati o semplicemente errati. Può sembrare superfluo e banale, ma va ricordato che il rum, in quanto distillato, non dovrebbe contenere zucchero aggiunto.

Una qualsiasi tabella dei valori nutrizionali del rum indica infatti una percentuale dello 0% di carboidrati, e quindi anche di zuccheri. Va inoltre ricordato che le bevande alcoliche prodotte da soluzioni di alcol, zucchero, acqua e aromi sono classificate come liquori. Se ciò non bastasse, è importante sottolineare che lo zucchero nel rum non dovrebbe esserci.

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Il disciplinare e le leggi

Non esiste un regolamento o un disciplinare universale che regolarizzi la produzione del rum. Nelle Americhe, solo Martinica e Guadalupa  hanno prodotto una regolamentazione in materia, che riguarda però un prodotto specifico, rispettivamente l’ AOC “Martinique” e IGP “Guadaloupe” a tutela del Rhum Agricole. Esistono altri disciplinari relativi a prodotti tipici territoriali, come accade a Madeira: in genere tali regolamentazioni si riferiscono a prodotti tradizionali, che tendono a conservare la peculiarità di rum tipici.

In Europa, il Regolamento (CE) N. 110/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio indica che l’aggiunta di zucchero è consentita come edulcorante per arrotondare il sapore. Non essendo però stabiliti dei parametri specifici in termini peso e di grammi/litro, la specifica risulta evanescente e, soprattutto, soggetta ad interpretazione.

Edulcorazione e adulterazione

Nella comunità internazionale dei produttori di rum, e più in generale nella catena produttiva dei distillati, si limita l’aggiunta di zucchero come edulcorante in un range compreso tra 5 g/litro e 15 g/litro. Si specifica che tale gamma non è una regola vigente ma una prassi adottata.

Nel caso di aggiunte zuccherine superiori si rientra nel campo dell’adulterazione, che secondo definizione, è la pratica di aggiungere una sostanza (lo zucchero) ad un’altra (il distillato) per mascherare i difetti, alterare le caratteristiche organolettiche, aumentare il peso o il volume. Questa affermazione è valida se si intende adottare, come già specificato, il parametro accettabile della quantità massima accettabile di zucchero aggiunto sino al valore di 15 grammi per litro.

L’effetto dello zucchero

Lo zucchero tende ad “addomesticare” il palato, appiattendo la sensibilità umana nel percepire i sapori. L’iniziale percezione di piacere nei confronti dello zucchero permette al cervello di identificare positivamente la bevanda (o l’alimento) zuccherata, di fatto mascherando le caratteristiche della stessa bevanda. La percezione umana al dolce ha origini evoluzionistiche antiche, e la sua predisposizione è evidente sin dalla nascita.

Tralasciando i numerosi problemi legati a sovra dosaggi di zucchero e l’eccessiva edulcorazione di tantissimi alimenti, si potrebbe affermare che lo zucchero indebolisca lo spirito critico e la percezione dei sapori.

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Courtesy of drecon.dk

L’esperimento di Drecon

Johnny Drejer, appassionato danese di rum, meditando sulla possibile edulcorazione (e adulterazione) nei confronti del suo amato distillato, ha deciso di fare un esperimento. Senza troppe elucubrazioni o ipotesi, ha fatto la cosa più semplice e precisa che si potesse compiere: ha misurato la quantità di zucchero presente nei rum commercializzati.

Attraverso un idrometro e alcuni semplici passaggi  Johnny Drejer ha misurato la quantità di zucchero nel rum dei più noti brand, con risultati sbalorditivi. Le misurazioni condotte da Johnny, riportate su una lunga tabella aggiornata al 2018  hanno suscitato molto interesse, nonostante l’autore abbia dovuto tutelarsi con un preventivo disclaimer. Non è un caso se i maggiori produttori di rum si sono affrettati a dare spiegazioni diverse e a negare la presenza di zuccheri aggiunti.

Risultati sorprendenti

Con le limitazioni derivate dai test effettuati su una singola bottiglia invece che un campione e con le precisazioni dell’autore, la somma dei risultati mostra dei dati sorprendenti. Assumendo come accettabile una quantità di zucchero sino a 15 grammi per litro, si distinguono molte etichette che hanno parametri relativamente bassi.

Al contrario, alcune etichette di brand molto famosi, notoriamente incluse tra i rum pregiati, risultano contenere quantità di zucchero molto elevate. Questi valori teorici, se confermati da altri test, potrebbero riconsiderare non solo la qualità dei distillati, ma anche mettere in dubbio la propria natura di rum.

I nomi? Tra le etichette più conosciute Appleton Estate 12 e 21 riscontrano una percentuale grammi/litro inferiore a 5, così come Havana Club 3, Plantation Extreme e tutti i Foursquare, J.M. e Velier valutati. La gamma Demerara di Rum Nation varia tra i 6 del 1990 25 anos e i 20 del 1990 23 anos; Rum Nation Guatemala alza l’asticella sino a 40. Risaltano i 44 di Rum Zacapa Black Label e 23 anos White Label e 82 di A.H.Riise Non-Plus Ultra Very Rare Rum.

Come già premesso, l’autore dei test si premura nell’affermare che “il metodo dell’idrometro misura una variazione di densità e presumo che la variazione di densità sia causata dall’aggiunta di zucchero. Il metodo Hydrometer non misura lo zucchero effettivo, quindi è possibile che al rum sia stato aggiunto qualcosa di diverso dallo zucchero dopo la distillazione che provoca il cambiamento di densità.”

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Conclusioni

Non è necessario stilare una classifica dei rum in relazione alla supposta quantità di zucchero aggiunta: i dati di drecon.dk sono facilmente consultabili da chiunque. Si spiegherebbe però come il gusto comune sia influenzato dallo zucchero, e osservando i dati di vendita di alcuni tra i rum più venduti e il loro contenuto zuccherino, si possono intavolare interessanti discussioni sulla direzione futura del mercato del rum.

Il parere dell’esperto

Giovanni Belli, appassionato e degustatore di rum, fondatore di Rum Express Milano, attività di degustazione rum a domicilio, fornisce la propria opinione.

“Uno degli argomenti più dibattuti dagli esperti del mondo del rum è proprio la presenza o meno dello zucchero aggiunto nel prodotto finale e molto probabilmente rappresenta il terreno di conflitto più “aspro”, per usare un appropriato calambour, nel il mondo dei produttori di rum. Proprio per questo cercherò di addolcirlo senza vestire i panni di un moralizzatore.

Infatti nel “concept” di Rum Express Milano non c’è l’obiettivo formativo legato al rum in senso stretto e quindi non ho nelle mie corde l’impegno di cimentarmi nella ricerca di ciò che è permesso o meno nei diversi disciplinari (alcuni assurti a livello di legislazione, altri semplicemente legati a procedimenti di implicita tradizione) oppure di ricercare la classificazione più appropriata del prodotto in base anche al mio punto di vista personale, bensì quello di “sentire” a livello emozionale il rum per poi raccontare le sue meraviglie.
Proprio da qui voglio partire nel modulare le mie personali considerazioni.

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L’incidenza dello zucchero

Ho imparato nel corso degli anni che la prima “droga” che l’essere umano assume nella vita viene somministrata direttamente dai nostri genitori nei primissimi anni della nostra vita per fare in modo che la medicina venga accettata quasi in modo incontrovertibile. Anzi, aggiungo, venga paradossalmente richiesta alla prima necessità dal bambino stesso. Appare evidente come lo zucchero incarni la nostra prima inconsapevole dipendenza.

Se poi ritorno con la memoria ai racconti di Pamela Lyndon Travers, penso di trovare solide basi nel mio ragionamento attraverso il famoso refrain di Mary Poppins “basta un poco di zucchero e la pillola va giù.

Dal momento che spendo parecchio della mia energia con mia figlia nel cercare di limitarne l’amore per la tachipirina, cercherò di non sperperarla totalmente nel cercare di convincervi quanto l’amarezza della medicina sia una profonda metafora della vita e in quanto tale vada accettata per coglierne la profonda realtà nel suo lato costruttivo senza dover ricorrere all’assunzione di sostanze di carattere artificiale.

Manifattura del rum

Quando si parla di rum è proprio il carattere profondo della disambiguità del vocabolo “artefatto” (dal latino, arte-factus, fatto ad arte) che apre il cerchio magico intorno al mondo del rum. In che senso?

Il rum è certamente un artefatto dell’uomo a partire dalla canna da zucchero attraverso i vari processi di raccolta, taglio, fermentazione, distillazione, quindi invecchiamento fino all’imbottigliamento. Ma il rum può anche essere fatto ad arte per incontrare nella maniera più adeguata le caratteristiche richieste dell’utente finale secondo quel curioso comun denominatore che ha sviluppato nel corso della sua esistenza.

In ciascuno di questi processi la mano dell’essere umano interviene a più livelli nel costruire, modificare, variare e sublimare le caratteristiche nel nobile distillato: a partire dalla selezione e agli incroci delle diverse tipologie di canna da zucchero, nel ricercare la più adatta al clima, al territorio, alla resistenza, alla qualità, alla concentrazione dello zucchero in essa contenuto, addirittura al suo taglio e al tempo prima della spremitura, per passare poi (a seconda del tipo di materia prima considerata e mi riferisco a succo, melassa o altro) alla fantasiosità dei vari tipi di processi di fermentazione inventati, fino ad arrivare alla realizzazione e alla perizia nell’utilizzo di spettacolari alambicchi, alcuni vere e proprie opere da museo del rum.

E qui mi fermo perché sento di intuire uno dei primi nodi in cui tecnici, chimici, produttori, rum experts or lovers hanno materiale degno di pagine e pagine di approfondimento di tutto rispetto.”

Distillazione

“In parole semplici, la prima cosa che ho imparato è proprio il concetto di distillazione che in quanto tale, se condotto in maniera appropriata, separa (appunto distilla) la materia prima in alcool, acqua, esteri e non ricordo altro. Ah sì il metanolo, ma va accuratamente eliminato.

Non ricordo da nessuna parte di aver letto anche lo zucchero. Anzi, sarò più preciso: né zuccheri né zucchero, dal momento che sono prodotti differenti: per esempio, il whiskey prodotto con il malto e col supporto dei miei ricordi di chimica, posso scrivere che il malto stesso possiede una notevole percentuale di maltosio (un disaccaride composto da due molecole di glucosio).

Come conseguenza di ciò, mi sembra evidente che in tutti i processi di distillazione e non solo in quello del rum, ad un certo punto del processo ci sia un’alta presenza di zuccheri. Ma lì e solo lì. Al termine dello stesso non si misura una presenza che in termini di inferenza statistica si consideri “apprezzabile”.”

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Post produzione del rum?

“Ritornando al doppio significato del termine artefatto, in queste righe intendo riferirmi alla possibilità che il rum venga anche “artefatto ex post”, e quindi modificato o rimodellato a seconda di particolari esigenze. In breve, al termine del processo tradizionale, alcuni produttori intervengono sul prodotto finito per correggerlo a diversi livelli, distanti tra loro proprio concettualmente.

Questi interventi possono essere da un lato correttivi a seguito di una necessità di sopperire all’instabile struttura del prodotto finale in termini aromatici, dall’altro anche a livello di consistenza e di colore per esigenze del mercato di destinazione. Alcuni di questi interventi sono permessi entro certi limiti dalle normative vigenti nelle nazioni afferenti il mondo del rum. Altri sono semplicemente descritti nell’etichetta e credo che sia un diritto sacrosanto.

Questo è il secondo nodo del discorso: il mercato. Chi sono i destinatari finali del rum? O meglio, chi sono OGGI i destinatari finali del rum? Voglio semplificare all’osso il mio punto di vista. Qualora i destinatari finali del prodotto siano quelli storici di riferimento e il rum venga prodotto per essi, in linea con la cultura e la tradizione di riferimento, allora, per quanto mi riguarda, se la questione non dovesse incontrare le mie aspettative o incontrare il mio gusto, rifiuterei semplicemente senza obiettare alcunché al riguardo (un giorno racconterò come in alcune feste con rituali sciamanici in Madagascar venga abbinato il rum a seconda dell’effetto che andrà a propiziare).

Se i destinatari alla fine sono i mercati occidentali, europeo in un senso e americano nell’altro, come possiamo non intuire che l’artefatto (!) risenta de gusti che ci contraddistinguono e che allo stesso tempo storicamente ci contrappongono? Come non riflettere sul fatto che venga indirizzato sui nostri binari di un piacere già strutturato fin dall’origine?

Mi hanno raccontato un simpatico aneddoto secondo il quale “i neri bevono il rum bianco e i bianchi il rum scuro”, cosa aggiungere ulteriormente se non che ci siano diversi livelli di lettura di un detto tradizionale?”

L’esperienza del rum

“A questo punto autorizzo direttamente me stesso ad aggiungere qualcosa e cioè il mio punto di vista che è all’origine del mio amore per il rum: chiudere gli occhi e provare a vivere attraverso i profumi e i sapori il piacere di percepire l’emozione di viaggiare nel proprio tempo e nello spazio con il senso più antico e allo stesso tempo più abbandonato dall’essere umano: l’olfatto (prima del gusto).

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Vi posso assicurare che si può discutere, e io lo faccio sovente, su che tipo di oliva il vostro olfatto vi riporta a momento dell’olfazione di un rum agricole bianco e persino litigare se avete piacere perché l’oliva verde che uno percepisce non è quella che sovviene al compagno di degustazione (ci sono veri e propri segugi in giro), oppure cercare di rivivere la sensazione del ginocchio sbucciato nella corsa da bambini tra l’erba alta ed il frinire delle cicale nel sole di un pomeriggio d’estate con la sola percezione di un particolare sentore erbaceo.

Nelle botti del legno di rovere del Kentucky, persino nell’estrema carbonizzazione crocodile di alcune ultime release, nella qualità di un legno sconosciuto dell’amazzonia (si pensi ad una cachaca), nella botte che ha contenuto il vino fortificato di Madeira, nello stoccaggio a pochi passi dall’oceano o nell’intero percorso di una traversata atlantica, piuttosto che nell’invecchiamento continentale in una dismessa galleria in UK, o paradossalmente al freddo delle nostre Alpi risiedono i sogni di coloro che degustano un particolare invecchiamento e che scoprono i misteri nascosti dei sentori terziari con il loro bagaglio di ricordi storici ma anche e soprattutto personali.

Ma se pensate di coinvolgermi nel riconoscere il tipo di zucchero che credete di sentire nella degustazione del prodotto, io mi siedo ad ascoltare: posso solo dimenticare tutto quello che ho scritto a partire dalla tachipirina e ripartire da zero. E perché no? Stupirmi!”

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