Negli ultimi tempi abbiamo assistito ad un notevole cambiamento del mondo del bartending con l’avvento della moderna Mixology: come tutti i grandi cambiamenti si sono create introno a tale fenomeno opinioni contrastanti.
Da un lato la riscoperta di metodologie passate unite all’applicazione di concetti appartenenti alla cucina ha scatenato la fantasia ma soprattuto ridato un nuovo entusiasmo; dall’altro lato resiste una schiera di professionisti che pensi si stia andando troppo oltre al dovuto, con la proliferazione di personaggi e pratiche equivoche.
All’interno di questa discussione è nato e cresciuto anche un aspetto esteriore, legato alla riscoperta ed al riutilizzo di “scenari” del secolo scorso, e cioè il riferimento, anche in termini estetici, all’epoca del proibizionismo.
Sono così nati, o rinati, locali con arredamenti, abbigliamenti e strumenti di lavoro vintage: i cosidetti Speakeasy, cioè quei locali che ebbero nascita ai tempi del proibizionismo americano.
Per analizzare questo fenomeno viene preso in considerazione uno di questo locali, il Twenty One di Modena, ed il proprio fondatore, il barman e trainer Emanuele Bignardi.
TwentyOne
“Il twenty one è all’interno dell’edificio in cui c’è la sede della Flair Inside; qui c’è una stanza molto grande in cui in passato ci si allenava per il flair.
Ho deciso di tramutarla in un locale da trenta posti seduti, per la precisione un Secret Bar: lo scopo è quello di portare le persone a bere in un modo che ancora non c’è, almeno qui a Modena.”
Cocktail
“Non è nulla di complesso, noi semplicemente prepariamo dei buoni drink ma anche dei buoni clienti, nel senso che andiamo a spiegare loro i prodotti, informandoli di cosa ci sia dietro quello che stanno bevendo.
Preferiamo miscelare cocktail senza troppi prodotti, per rendere l’esperienza distinguibile, in modo che possano essere assaporati tutti gli ingredienti.
Il menù cambia ogni due mesi ed elaboriamo tre o quattro twist a settimana; ad esempio il Fusion Negroni, con Shochu, Campari e Mezcal: è un cocktail semplice, con il gusto rotondo del Shochu e un tocco di affumicatura e corposità grazie al Mezcal.
Quando il cliente si siede viene accolto con un bicchiere di acqua di benvenuto e, dopo qualche minuto, viene informato dal barman, che va direttamente al tavolo, della composizione dei drink in lista.”
Secret Bar
“Essendo un Secret Bar non esiste pubblicità, i clienti arrivano per passaparola, tanto che abbiamo una pagina facebook del locale ma senza investire in advertising.
L’ingresso del locale non è nè segnalato nè illuminato, ad eccezione di alcune candele sulle scale di accesso: anche questo concorre nel far vivere al cliente una esperienza, ed è il motivo per il quale molti clienti ci ringraziano.”
Speakeasy
“Il termine Speakeasy è ora molto diffuso, ed il locale può essere identificato in questo termine, ma io non mi sento assolutamente all’altezza di una nomea del genere perchè considero lo Speakeasy un luogo gestito da persone con esperienze decennali o ventennali, che conoscono perfettamente il mondo del proibizionismo.
Guarda il Jerry Thomas o il 1930: all’interno di essi vi sono barman con una cultura enorme. Non ci si può inventare da un momento all’altro di aprire un Vintage Bar.
Credo che un locale si possa definire un Vintage Bar quando si ricrei anche l’ambiente dell’epoca, abbigliamento compreso: tra i nostri clienti è possibile trovare persone con il bastone, o con cappelli del secolo scorso.”